mercoledì 14 febbraio 2007

In risposta all'uggiolare dei canidi, ovvero l'incomprensibile assemblea degli inutili.

E’ con un moto di stupore perpetuo che ne leggo la post-produzione verbale. Hai aggiunto quel “dilatante” nel titolo e riferimenti scoperti alla vulvografia per prendere siderali distanze dal mio sentire comune? Io, che mai sporcherei la mia prosa con parole come “fica” e “clitoride” e resto timoroso di fronte ad una mappa vettorializzata delle zone diocanc erogene e controlaltcancerogene. Il tumore è ormai un’epidemia, ne soffre uno su tre, cioè gli altri due se ne fregano. La CIA unge col male oscuro le tastiere.

Difficile riconoscere i contorni di un essere noto in questo scritto, che a partire dall’introduzione offre esempi, e molti, di questa dichiaratamente innaturale “dilatazione”. Ma non un’espansione elastica, che plasma temporaneamente il linguaggio e la realtà, che poi ritornino in buoni rapporti tra loro; no, vuole questa “dilatazione” lacerante invece, esplosiva e irrimediabile. Come i tempi terroristici che viviamo, che impongono anche alle idee di dotarsi di detonatore; e questo abitante delle contrade del nichilismo post-produce un dettagliato accumulo d’idee mefistofeliche, e archivia un improvvisato, vivido catasto dell’orrido.

Si potrebbe creare qualcosa, mi chiedo? Sfruttiamo l’insiemistica più becera e commercialoide, facciamo sì che i due ellissi combacino per un tratto e, nel recinto, toponomastica, elisione e libelli! Storie popolane sui mass murderers, manuali di sopravvivenza sessuale per single, ma anche trilogie e quadrofrenie sulla malasanità e spionistiche. Ho già un opera in cantiere, come tutti, in merito: “Come riconoscere e valutare nel proprio partner le caratteristiche sociali-emotive-estetiche ideali della cultura di riferimento”. Che mi non si scappi di lì, che la trombata sia in linea col frenetico e con l’appagamento dell’autostima.

Mi accingo intanto a proporre al lettore la mia produzione prepuziale e verbale del lunedì lavativo, giunta in ritardo e rabberciata d’apostrofi. Un lunedì in cui la fattualità fu impalpabile, divorato dall’ambizione di scrivente; giacchè quella di parlante era offuscata da ottenebramento. Ancora non parolo edittico come un capo-popolo con tessera pentapartitica, ma sintetizzo nei block notes riferimenti ad altre genealogie; non ancora imperatori scarlatti, ma ancora la tiepida razza sgorgata dalle costole magre di una scimmia ed educata alla stretta osservanza dei canoni testi del ladrocinio. E’ mio impegno qui, ideare intanto in forma fittizia e sofisticata che sfugga al definibile, ai codicilli che eterni imprigionano l’essere in un involucro. Le sostanze invischiate in qualcosa di leggibile, udibile, verificabile, scindibile nelle sue componenti fino alla sfumatura atomica, al trend scientifico-particellare del momento. Ciò che più odio è il giudizio, universale nel senso di condiviso, dei molti sull’uno, perché dopo aver affrontato le malelingue natie non si teme più niente di trascendente. Il castigo trascendente è solo una pallida emulazione della ferocia paesana, dispensata con candore da esseri superlativamente negativi. A volte mi chiedo chi realizzi questa verità come possa concepire di continuare a sussistere e collaborazionisticamente prostituirsi al benessere del solkoz.

Cogliere sempre e solo la negatività è comunque passatempo che possono permettersi i giovani, perché la loro mente ha un futuro a dispetto delle realtà. Quindi smetto di denigrare le convinzioni lillipuziane della mia periferia autoctona, da cui dipendo salariale. Si è da giovani perpetuamente svegli, e carichi di aspettative dinastiche in effetti; è poi arduo dormire quando si vuole ostile il sonno.

“Giunge alfine la mia vendetta trasversale, praticata coi mezzi diagonali della perfidia” avrà pensato coccolando il suo bambolotto voodoo il mio simpatico mentore nei pressi del fu brandobar, che odia ma da cui è avvinto come da maledizione; pratico del meretricio silenziato, famiglio stretto di sterco, delirio e omogeneizzati, che non ne stanchino l’immota mandibola puberale. E' passato dal torturare in modo fittizio e discontinuo un riccioluto cicciotello, a pratiche assai più raffinate e deleterie nei confronti della carne, come infilarsi nel culo delle pigne e dichiarare l'autoscatto. O così almeno gli auguro, grandiosa epifania di dolore anale. Era un tempo allievo della pretaglia che mangiava inzozzata capponi nel tempio, ma ora con reazione pavloviana sbava certificate malevolenze all'indirizzo del suo demiurgo, che neanche avesse fatto corsi di semita e imitasse il volto arcuato degli ovini mandati a mucchi in doccia. Ora in divisa nera e lacera, quando prima maneggiava solo seta di qualità creditizia e schioccava baci unti a velli men che virginali; ora con dosi massicce di saccarosio diabetico, s'insozza di altra brodaglia da blocco sovietico, intigendo pingue nell'acredine e sbadigliando nelle pause caffè del regno eterno. Black magic woman è un ricordo lontano, narcisisticamente inflitto a sé stesso. Non avevi cuore, e ora te lo divora una badante con opzione scopata.


La mia personale fedeltà va a chi non si inchina, se devo essere sincero, perchè i sigilli pensati per queste tue prigioni sono mal fatti e scardinabili con piccolo buonsenso, o clamorosamente, con piede di porco ben congeniato, con braccio di leva distante e in lega d'alluminio; e ammiro chi pur tuttavia schiva d'esser fatto parte dei gironi perchè non ha affinità colle fiamme e non reagisce con automatismi ai loro perversi sillogismi monacali. O ad un’insinuante stillicidio. Evito anch'io, quindi, le perpetue schiere e con sciolina e vasellinico anche evito le mani più unte che mi si tendono, storno i ritornelli sacrali che intonano le vibrisse delle formiche con comune, eterno sentore d’inverno; o le cicale, che friniscono gustose nelle mascelle nascoste dei camaleonti; e non mi faccio mai cancrena per i sogni altrui. Ognuno ha l'ambizione che si merita. Apprezzo, ma senza rincari, chi fraseggia blasfemo ma puro.

E tu! Vedremo se passerai dall'idropulitrice con cui scartavetri via pezzi di intonaco e merda, a ben altri paraggi, penso rivolto ad un passante della mia vita, che come cerniera si chiude zippato e poco comunicativo, fino al silenzioso inequo vocabolo. Io poco mi curo se in una latrina ingioiellata riesci a impadronirti del più ghiotto escremento e ti proclami re incontrastato delle croste e della lebbra. Ripeto, non con madreperla scarlatta e complicità consapevole col destino, ma piccolo volgare tiro di dadi. Calce e nomi scribacchiati da mano becchinico-sgrammaticale prevedo, come giorno funebre, uxoricida di ignote madri e padri autorevoli, di spicco nelle mafiette locali. Questa italia cialtrona e dilettantesca mi accusa, eternamente mi accusa, perché non mi industrio nel penale o almeno non sguazzo nel grigio o provo stupori da novizia di fronte all’industria americana del porno. (Imposero il VHS e ora la sony si ricorda d’accarezzarli nel senso del pelo, e troppo vivida carne nel supporto attuale).

Poco mi curo se ti rotoli, coccolato da nenie, in un locale fighetto, nella feccia e nelle deiezioni dei ricchi, dei loro generosi rigurgiti di muco cardinalizio, e grufoli chiacchiere insensate di diagonale perfidia, (ma più piccina ancora di quella che normalmente odio). Mi intrappola il tuo microscopico essere, e soffro il calo d'ossigeno nella tua prossimità fragettata o crestata, a seconda del genere. Io di genere rigorosamente letterario, focolaio di parole rubacchiato agli dei, iperproduzione disorganizzata ma in fase di studio, stentato e difforme dai dettami della linguistica, padroneggio però alcune tecniche esiziali di didattico dubbio prometeiforme epatico-rigenerativo.

Ma per castigo.

E non rimproverarmi la saccarinofagia o lo scriteriato sguardo celebro spinale, o la stupefazione neurovegetativa, perchè il mimetismo richiede grossolano scoprirsi prima di rientrare nei ranghi dell'invisibile e dell'occulto, e nei miei meandri riduco in polvere e schemi e teorie la laringite con cui si gracchiano i fraseggi presuntuosi dell’happyhour. Seziono, scindo i coglioni a grappoli e gli ovuli avvizziti dal corpo, e ne verifico il potenziale umano sotto spirito. Non me ne può fregare di meno se la domenica patriarcale invece di mescerti con chi ha buonsenso abbastanza da schivare il buonsenso, compensi la cotica attingendo al trogolo delle pecore. La tua duplice natura combatte perpetua tra ovino e viviparo. Hai ghiandole di veleno come certi palinsesti, ma, geneticamente dubbio, non sai con chi confrontarti: se con l'uomo, ma la sfida sarebbe persa in vertenza, o con il topicida.

Ti sarebbe fatale però anche il cibo guasto delle talpe che infestano contrà dei mazzarioi, piuttosto stricninico-giustizialista, in agonia ti affideresti alle parole dei profeti:

“MA CHE TE NE FREGA DI QUELLO CHE PENSA LA GENTE?”

e poi decadresti allo stato di vermifero accumulo di orridi dettagli. Te ne andresti in stillicidio, stavolta d’umori del corpo, e preci molte ed eventuali.

La morte! Si tratterebbe di uno stratagemma grezzo, mi rimprovero, che non renderebbe fascinoso il correggerti; dei tuoi molti errori sintattici. Renderti noioso ogni cocktail e ogni bon-mot, accorciarti il già corto braccino con un arabo taglio, riempirti di idee al tritolo e farti detonare, però nel deserto, in solitaria beffa. La mia setta ti illustra gli obiettivi, tu ti scagli forsennato, in cerca d’urì.

Anzi, la morte, sipario con troppa veemenza calato, non renderebbe diletto al pubblico che pullula in sala aspettando già febbrile che si scateni la pandemia. Meglio riscriverti, e parola dopo parola riaddomesticarti all’oggetivo, al teatro dell’impassibile, attraverso un automatico rinnovarsi e un pugliese pulotto puritano baritonale a manganellarti l'inguine infetto (come i peti di scimmia, insegnano i saggi); di mia concezione stavolta la trovata. Certo non inanello discorsetti a caso, da pulpito generalista, ma mi rivolgo a malevola stamberga e generazioni spettrali, dove l’elite sfodera taccuini e considerazioni di pregio. (un tantinello infida, alle volte e troppo però si lascia al vile, e l'avidità da sola rallenta il pellegrino. I rabbini non lo toccano nemmeno, il denaro, vi ricordo. Ungono le porte di sangue, invece, quegli allegroni. E si purificano se in loro presenza fai un aforisma non in linea con le loro molteplici teofanie).


Conosco sadismo cocainico che non vuol capire la sua elaborazione paranoico-marittima della morte di un conoscente, vitaminizzato a sua volta dai contadini boliviani; gli ovuli di coca li estraggono dal culo e li tagliano con mannite e streptococchi aurei intestinali, vi ricordo; conosco sorrisoni marciti con l'età e l'esperienza, ora rappresentativi di folletti aspiratutto, e aspirativi di fate minorate, che intercalano melliflue di comicità altrui; ancheggiamenti da guitto e sminchieggianti, con poesie perigliose per le loro orecchie rinsecchite dai gazzettini, e traspirazioni letterarie molte, perfino; al riparo dai guai come sotto una tettoia fornita da appoggi e denaro, questi vivipari, ma partecipi a parole vaginal-pittoriche di strombazzamenti di equità karmica; che loro per primi infrangono e miss-conoscono.

E avrò sommo piacere ad ascoltarne l’estrema unzione sofisticata, vasellinici e falsi coi propri ricordi come sono stati in vita anguille dalle sibilanti traiettorie. Conosco traforati individualisti da bricolage accademico, onesti nelle loro passioni che mi mostrano il segno dei chiodi con cui li affissero in bacheca, come un mero programma domenicale. E conosco anche rigidità mortifera, sorta di nero anti-pretino in prossimità del fu brandobar che s'inzuppa la felpa di ketchup rimestando il piatto con le mani, dimentico delle posate, pensando già all’intruglio che l’aspetta fedele nel narghilè. Ricordo questo tatuato clone di scimmia, piagato dai troppi sensi, mantecato nella scissione, pullulante padulo padano anch'esso di significati in vernacolo che strisciano fuori dalle stanze: come una gonorrea viva e palpabile, ingrassata di sangue ed enzimi e tetracannabinolo.

Chi vive nell'astratto non ne conosce in realtà il quadro sintomatico, guarda tutt'al più telemarket e si stupisce che un graffio su di una tela trasmetta sifilitico anche al telespettatore. Si diffondono quindi verbalmente come viral marketing della mulino bianco? Viral Marketing! No è chiaro, amici miei? Ancora non è abbastanza chiaro? Chi progettò questa parola colse che il capitalismo è un costrictor silenzioso e letale con cui non si dialoga, sequenze di rna che abbisognano di ospiti tv! Anzi un aspide distillato, rosolato nel fiele, esterna amara capacità d'aggredire indipendente dal soggetto! Mirabile disegno osceno e intelligente! Evoluzionistico, fordiano spartirsi dei compiti! Alle ghiandole il compito sterminatore, al cervello di rettile la soddisfazione d’inghiottire, senza troppe domande sulla natura e la provenienza del veleno che ci concede il pasto! Siano lodati i collegi dei gesuiti che istruiscono tacchinacei, impomatati diplomati. Che, o superfonici si schiantano di ritorno dall’Odissea, o poi sopravvivendi, agenzianeggiano in dividendi di comunicazione per reclame e caroselli, copiati senza coraggio e fantasia; stentorea questa a onor del vero, da decalcomania sbiadita su audi80 e fuoriproduzione! Io ne produco, perfino durante il tremens, di nuovi e migliori! Siano lordati i privi di senno! Così parlò Zarathustra.


E non certo saccarina o glucosi o zuccherini in cui si imbatte la drosofila, rifilati ai cavalli per poi inscenare una corsa truccata: ma scripting di sciagure, e sigilli del tempio strappati, e scommesse seriose a strozzini da incubo, e onde elettromagmatiche e teleton cancerogene che ingrassano i venerei, al riparo in comode domotiche concettuali prigionie.

Rigidità mortifera, dico, (delirando, per scelta, d'anacoluto). Ricordarsi il nome fittizio di figure storico-retoriche, e figuranti avverbiali, ovvero ciceroni macropropositivi che conducono in cittadelle in rovina e passeggiate padule, ovvero logopedia dispersa. Dicendomi, queste sinistre guide: "qui giacciono i poeti assiri che combatterono contro babilonia. Pazzi senza criterio, senza editor, su tavolette incise, che commettevano equità in un mondo sbilanciato in favore delle fiamme e della contabilità addomesticata, vicino oderzo, nell’intorno dei neuroni bruciati, in un interno giorno di un calendario sbudellato."

Oggi non ho voglia di fare un cazzo e sfiato strombazzamenti in risposta a scazzi inps esenti, flatulo di concrezioni ideal-propedeutiche a rimbrotto di operosità narrativeggiante. Cioè conduco, mi inerpico in database excel selezionando accuratamente a chi propinare pessima letteratura, avaguardistico-biblica. Didattico come dicevo prima, non so trasformare il mio senso di colpa adamitico in senso del dovere postindustriale, e mi rinsecchisco in noie dialettiche occupazional-evitanti.

Mi incarnano supposti empi senza la terza media e orecchi musicali ipersviluppati, senza comprendere il materiale che luccica e che mi hanno sottratto. Ne fanno dileggio, ma s’infilano come spine i concetti. Se non hai una filosofia dell’uomo, seria e sfrontata, t’avviso preventivo di non sfidare. Ogni pillola incustodita è stipata infatti di veleno, che mi presta il cobra; senza farsi domande, perché poi inghiotte di gran lena il ladro di costrutto che gli fornisco e s’assopisce sazio. Abbiamo accordi in tal senso, stipulati quando mi strappò le mie molte anime e giacquero le maschere urlando, in cambio d’un pozzo nero incorniciato da denti che stridono.

Concepiva, il folle, il tutto come bisbetico, non capendo che trattasì bensì di un poetico-ascetico con malaffare cobresco allegato, un proporsi alle malegrazie d'una fata rovinata di cui corteggio il cervelletto e parte di un lobo; ma non per arrivare alla fica, cialtroni, no, solo per vedere come il cervelletto muove il ghigno di risposta e se per caso l’umorismo non sia corresponsabile di alcunché di clitorideo. Siate per un attimo scientifici, e lasciate a casa la confusione; l’amore è meccanico ricalco e miscelamento di geni e daimon sticazzi! No ai vani estetismi, all'utero mixer di bestia e ipnosi di massa, e rifiutate la sacra catena. Ma solo se sapete ciò di cui parlo.

Anzi direi meglio, quest'uomo con felpe rigurgitanti suore sgozzate uggiolava avviluppato nelle idee che non meritava, non avendo subito formazione specifica. Me ne intendo, subisco e a mia volta propino la necessità di sapere; e consiglio saperi agli inutili tutti del nordest perchè diventino necessari all'italiota apparato, simil-capitalistico, di pilotate spartizioni e di telefonati appalti. Che si scavino parassitiche nicchie, (una volta guardati dalla medusa di gesso del sapere), dove apostrofare i colleghi con frasi come:

"hai visto la partita ieri?”

“Uno scandalo la violenza negli stadi.”

Il terribile: “Eurogol!”

L’ovvietà: “Stasera a Villa Foscarini vecio? E' pieno di mona."

O l’eterna aberrante litania alcolistico-divagatoria: “Spriz?”

O mal fatti, egoistici lampi di cognizione finanziaria. Random e insulsi.

Istruisco, flautesco, gli ovini a scagliarsi in massa nel crepaccio, parlo ai cadaveri come un santo dell'apocalisse e biascico strade di briciole ai corvi, che vogliono ghiotte novità dal mare e dai fronti. Una volta deliziati da me del racconto dell'attentato o della sciagura, vanno a pasteggiare con le carni di vittime civili, nate con inconvenienza nel tragitto di washington verso gli oleodotti kyoto-esenti. I corvi sono furbi, ora i loro riflussi seguono la scia degli eserciti americani. Le pantegane del monticano seguono a frotte, brandendo cartine alpitur sulla carogna più conveniente. Per ultimi vengono pomposi gli industrialotti veneti, che si muovono, a branchi e in pantofole, solo quando la vita è completamente annientata.

Riconosceva correttamente quest'uomo inutile del fu brandobar, (cadavere aspirante e già molestato da corvi profetici), che l'alternativa fosse tra delirio e manipolazione. Scegliendo comunque quest'ultima senza avvedersene, e praticandosi l'iniezione socio-linguistico-fobica con setticcemia linfonodica. Rifiutava il corso di autocad che gli proponevo. E rifiutava i consigli dei saggi della terra, perchè puzzavano di fossa e lazzareto e ghetto a porte chiuse, con violenta pestilenza in corso. Era in realtà colpa dei nazisti che rifiutavano le tubature falloidi dei bagni turchi gay dei zavi di zion, e ne ricavavano piacere e certezze di natura olfattiva sulla sgradevole apparenza dell’intelligenza ed esterofilia omoerotica delle loro vittime protocollate.

Ricalcava questo uomo inutile (non aspirava ad essere necessario a mediaset, comunque: e questo lo pone su di un differente piano astrale rispetto agli insetti che sbavano la domenica in chiesa, assisi nei loro comodi abissi; o agli stercorari, che muovono enormi mucchi di fertile mota in direzione della banca unicredit più vicina) comunque solo qualche parolina tuttalpiù da combinare con le proprie, e costringere l’Altro con arroganza cieca e antiempatica, propinatrice, a supporre che la combinazione di concetti fosse intelligente. Ma si trattava di miscelamento puramente soggettivo e opinabile, (fatto poi con gioielli opachi e grezzi che IO scavo da Salomone) apprezzata solo dai manchevoli di vero spirito, simulatori d'intelligenza e artificiali e con certezze retrodatate ad hoc, e con simil dizionario allegato in omaggio a rivista rockduro adolescenziale. Degenerato poi in tendenze suicide e mammolalia. E allora: rifugiarsi nelle comode stanze dove strisciano quelle belle idee, dove lo stereo gracchia tumefatto ancora e sempre, dove combina con se stesso le note a produrre alienazione presuntuosa aritimica. Aritmica, ho detto? Sarebbe troppo. Non ruba alla dodecafonia, ritmico sighiozza la sua grandezza sui quattro quarti anche il suo cuore, di copertine invitanti. Ruba una parola e mezza, la pesa e come un macellaio la imbrillantina di cotiledone. Lenone, anch'egli, mezzano sottovoce e per pochi, ve l'assicuro, lui con tutti i suoi scrupoli non è che un satiro dalla falsa coscienza, un porco con opzione metafisica, e incessantemente ruba, quello che potenze occulte sotto l'ombrellone caraibico gli tendono a piene mani.

Lascio al confuso lettore il ricavare l'indole di chi vuol pensare di sottrarre ciò che gli si regala. Troppo simile a lui, ancora, infettato della sua lucentezza da gazza ladra. Sbiadito al mondo in un rivoltante sussurro di guai. segui leprotti dotati di orologio, profonde tane di biancospino. Eppure vivo e lucente, sotto il mio ombrellone di rimini, aspiro a granatine e voto Vodafon. La Telecom infatti possiede l’infrastruttura e fraudolenta ne amministra l’indotto, addestra manovalanza da call-center con asincrono turn over. Li impara di poche risposte, e smistamento di chiamata. Essi muoiono alla cinquantesima telefonata all’incirca, inframezzati d’incompetenza e gonfiando di molto il fatturato. Sono arruolati già in fasce; fin da piccoli se ne vede l’indole schivatrice “di grazie per aver scelto telecom”, riciclato come un mantra e proposto invece delle soluzioni. Provocano però anche massicce fughe dall’entità parastatale, immune da liberalizzazioni e sempre a stretto guinzaglio governativo, anche quando le carte cantano altrimenti. Provocano ictus di incertezza, nell’ascoltatore del numero verde che eterno nel suo dialup s’incastra improvvido nella ricezione. Frattanto il tronchetti con l’amplifon mi ascolta le minchiate che cicaleggiano gli italiani e, a seconda, o dirotta al reparto estorsioni, o traccheggia, e smercia ai Servizi. Questi controllori si scoprono nell’occultamento e si sbagliano nel reclutamento dei complici. Mai affidarsi a segugi con curriculum spulciabile in internet e infamia doc: meglio rivolgersi alle mani scure d’un esterno senza nomi, si sa, e mai affittare vicino alle giurisdizioni! Il bravo manager dovrebbe destinare poi più fondi, presi magari non dai doppio fondi, per la formazione del personale, ridurre la mortalità del centralinista, pagarne funereo un equo tfr, e non solo curarsi d’una segretaria dall’ampio divaricamento e tumide labbra lavoratrici. Quanto a Vodafon, è pura via di fuga e alternativa, perché mendica da questo piccolo tiranno in fratturazione ogni suo byte e centralina. E s’appigliano i phone phreaker a legioni, e sms liquefatti nel tragitto del mezzo s’inquinano nei fini, e spuntano Voip e marinai riciclati di Honk Hong, ora colossi che mal vedono una libera circolazione d’idee e l’avvelenano, e richiamano d’oltreoceano dementi (arcigne, invero) che danno di coscia e ancheggiano ricaricanti. Bell’idea per un adolescente, preso tra camurrie e voglia di fica, la videochiamata! Esponiamolo ad adult-content e diamogli l’imbeccata dell’esistere solo in virtù del digitale, della bottiglina e dello stupro di gruppo ripreso! Estortivo tra l'altro! Il relativismo va bene per chi sa pensare, suppongo, per le bestie meglio i valori, più stringente cappio alla naturale idiozia. E nel frattempo ho il dubbio, notate? Ha ragione il pastore tedesco impalmato dalla fumata, quando i giornalisti biascicavano papabile: se non sai teologia, meglio non esser critici. Di come l’idea si fa costume e società, di come un concetto diventi famiglio, crimine ed infine consuetudine con moratoria. Pisciamo noi sulla tomba di Karl Popper, e menefreghisti per quanto riguarda le bolle, tutto questo reso possibile dagli studi pagati da cricche borghesi e dalla lezione d’un attivo maestro. Come creino i boia a loro discapito è sempre un affascinante enigma, e come si stringono, nelle loro case quando le barricate di suv sbrindellati si frappongono ai celerini! La pubblicità non parlava di farlo ignifugo, affatto! Miglior uso che scarrozzare adulteri! Il sapere combatte con le molotov, i pompieri del regime, come insetti nelle tute, sedano. Il sociologo ciarla allora di polemica. Lo psicologo di disagio e depressione. Spunta uno storico, che già pensa in prospettiva e ci vede il grandioso affresco del logos nel suo farsi. Il giornalista sintetizza, prezzolato a modica cifra dal plagio patinato del padrone. La linea editoriale è chiara, miei cari: muoversi felpati e anteporre una ruvida lingua di gatto a tutto; carezze contro pelo, di molte e varie e sintattiche, dove non si può altro. E scartavetrare senza remore, assottigliare fondamenta istituzionali. Tanto il crollo è cosa certa, noi si asseconda solo le carbonerie naturali.

Le bestie s’industriano invece per praticarla, e darne notizia al telegiornale, questa mancanza di senso, e non s’avvedono di donde giunge la soddisfazione al loro cervello rettile. Inghiottono i costrutti e con mediocre esperienza operaia o al più impiegatizia terziaria discriminano. Per me non meritano il libero pensiero, e gli sarà sottratto da chi sa cosa farne.

Ecco quindi che incede il nero, cretinoide monarca.

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lunedì 12 febbraio 2007

SCUOLA DI LENONE

Mi insinuo larvale in(definito) co-d-esto co-nt-esto definito “capitalismo av-anz-ato”, fuggendo quel puzzo av-ARI-ato, adempiendo il DOVERE sociale della scolarità, scuola-azienda, GRANDE azienda, grandi labbra, grande capo, “Sich Heil!”. Impregnato di americanismo proto-democristiano con intorno leghista di un sindacalismo da rigetto, funzionario di partito diessino dalle grandi proprietà STAZION-ariE-Bahn-CARIE nonchè Bar-CARIE a vela chilometriche soggetto-ad-1-risentimento-prettamenete-di-natura-materialisticamente-
economica. Anarchicamente sfrangiato da un dio-incancrenito mussulmano-negro e naturalmente renano. Sionista d’assalto, al Ramadan con l’ano alto, proiettato verso cieli rigettanti manna (=$). Voto destra-centro-sinistra-destra-centro-sinistra-destra, il ciclo continua, 5 giorni al mese tampono le necessità con Tampax e tacconate, spalleggiato da quell’orango-inferiore-dalla-monociglia-villosa. Interinal-MENTE-intrepida-MENTE satagista-collaboratore-fiero-petto-in-fuori, fiore all’occhiello, dente brillante, griffato dalla A-lla-Z Tartar Control. Pallidamente lunare, ma dalle ascelle napoletanizzate da terroNista-di-sangue afro-Guinea, alla riSCOSSA-riSCATTO, col ricatto-catto-comunista scatarrante bestemmie sopite in gioghi-griffati-ma-taroccati-da-marocchi-drogati. Si spalancano porte psico-meta-percettive, trascendenze immanenti, secrezioni vischiose, universi della perdizione, nuove opportunità manageriali in potenza, attuabili con ausilio di volontà-di-potenza, non come quei froci rassegnati-pesa-coglioni-fatalisti-puzzolenti-dall’occhio-molfo/librante. Scavalco brandendo 1CV in pergamena tartara mandrie di bovini darwinianamente lanciati alla riscossa.. scala mobile, scala sociale, scala dei prezzi, scazzo in una provincia così crudelmente desolante-brillante, forse-era-meglio-non-so-che-cazzo-fare!

Scolarizzo lenoni Bulgaro-Rumeni-Ucraini-Bielorussi, nella mia sfera di influenza filo-occidentale; la Domanda esige un’Offerta… si sa! Pubblicità sfornate da copywriters e psico-comuicatori di massa con master's degrees d’oltreoceano, tappezzano i quattro angli del globo “SCUOLA DI LENONE: GUADAGNI UN GRUZZOLONE!”. Pellicole propagandistiche di chiaro stampo kolossal-hollywoodiano e agenzie del lavoro preposte al reclutamento, previo test psico-attitudinale e valutazione delle skills dei candidati. Anch’io colletto bianco attento al benessere social-collettivista, verso indirettamente tasse padane acquistando presidi medico-chirurgici destinati alle dipendenti ESTive-rumeno-lascive… perché si sa: “l’ospite è sacro”…e naturalmente "il cliente ha sempre ragione". Assistente nazional-social-democratico accolgo nel “mio” regale soggiorno braccianti senza permesso di soggiorno. Trattamento da re… Gipsy Kings! Negrame operoso da inserire nel meccanismo social-maccartista, naturalmente previa igienizzazione da effettuarsi con atomizzatore-battericida-antivirale. Ai fini di perfezionare la vigilanza e nauralmente a scopo deterrente, introduzione di microchip sottocutaneo ai "soggeti a rischio". Non tralasciamo infine la sterilizzazione preventiva dei "soggetti", causa fobie-psico-paranoidi-di-epidemiee-genetiche-apocalittiche-per-la-Società-nel-
suo-complesso.

TRASFIGURAZIONE-DILATAZIONE DOMENICALE




Affrettato contesto-fuga di ecchimosi-flaccido-scalcinata, naturalmente in contesto autunnale-polacco. Nebbiosità, nebulosità pallosità febbricitante padanoide-dialettale-bestemmian-d(i)o-delle-canne-zuccherose. Vini barricati-implosi in contesto clitorideo, spasticamente schizzati in infusione-diafanamente-diffusa annaffiano ostie verginalmente sifilitiche. Selciato paranoie di quel dio-ca(na)rino-scafista-satiro, chiaramente dalle cornee sezionate a grappolo. Villani dai trattori trattati, grondanti smegma-sbuazzoso-da-catramista; essi psicanalizzano madonne-ninfomani-informi, avvinazzano sgualdrine profetizzando scongiuri blasfemo-lirici.

Svolazzano, sciamano, planano "putti"… “ah, ah, battono!! Froci di merda!!”. Strade perdute lynchate-scazzo-domenicale-beviamo-appanniamo-'sta-nebbia-cazzo!…. Volgarità fluttuanti esalazioni bucoliche, volti pingui, canuti, occhiate da dio-Lenone. Una mediterraneità asfissiante-retriva-giovialmete-sospetta… eppure danzano fanciulle brufolose con brocche (“bronchi?!!”) e prelibatezze-da-fossa-biologica, tacitamente viziano la propria interiorità brandendo Tampax , spacciando batuffoli rosa e birre d’Abazia-dell’Alsazia-in-fiore. Tempeste d’acciaio di revanscismo teutonico-‘na-raffica-De-Mita,...“un cargador entero!”. Barbetta sonnecchiante mi lancia un’occhiata torvo-comprensiva, ligio di mestizia; io esalo gas merdosi rifiutando lo straripare-di-lucernari-ronzanti. Brandisco con bonomia e nichilismo il litro di liquame alcolico-arancione, sgraffignato a Miss-grigia-decadenza-e-flaccidità-inguaribile. Vanto un corso di bestemmie pre-puberale e sghignazzo smorfiosamente, filtrando volgarità scoreggianti di motorini-col-trucco rombanti e autoradio sincopati. Spasmi a fiotti allagano praterie teutoniche, con stivaletto autoritario e quel barboso cazzuto-Abramo-cannuto. L’immacolata concezione nichilististica sfuma sferragliante, allo srotolarsi di fresche fattezze agro-pastorali. Sorpreso e sgranante occhi vitrei, colante bave bianco-spinose da labbra e mucose. Tentacolare mi si insinua supponente-implorante un sorriso-ghigno-appagante… aneliti Lituani o contesti agresti Rumeno-Bvgari. Dalle sue lenti appannate, una strizzatina d’occhio. Rinsavisco tiepidamente incuriosito da quell’occhiale-vispa-Teresa-Dolce&Polesine e naturalmente... dallo “zoccolo duro” della Polonia. Prediligo un certo sesto-senso da marcia-piede, spirituale affinità a un tale ”Pol-istirolo” verso il postib(ir)olo. “Che stracazzo spari?!…Polenta-Poli-tecnico-Poli-saccarosio-polacco-di-Lenon-Soda” puntualizza subitaneo quel porco d'“Io”. Salmodiamo in placida armonia una metastasi di tantrismi, tediosamente domenicali… parafrasando: un’inutilità mistico-desolante. Profezie infauste di nasi semiti (sempre Pippo-Franc-esc-o-In-Grass-i-a-to) : “è giunta l’ora!”. “Suggerirei d’annichilire con garbo l’obesa suina-sgraziata-sgozzabile-cariatissima-ciarlatana-penosa-
colpevolizzabile-espiabile-sacrificabile-
imputabile-trascurabile-minimizzabile-mimetizzabile-latrina-di-cesso-sconquassata-trombante-
diarrea-immonda-canea-catarrosa-cancrena-gassosa-sludra-
ingombrante-inglobante-merdosa-melmosa-adiposa”. Con aria soddisfatta ci scambiamo un paio di occhiate, il consueto sorrisetto cinico stampato in faccia….“Les jeux sont fait!”.

domenica 11 febbraio 2007

In risposta al proteiforme



- Questo testo, il cui autore non ha evidentemente un'identità ben definita,
è stato rinvenuto fra i VISCIDI fanghi di Rovigo (ovvero nel POLESINE) -


La domenica scorreva placida e rorida. Buffa allocuzione e tentativo sinistro quello di apostrofare il giorno Patriarcale con parole che ricordano un cinese stillicidio torturante. Lo scibile si aggregava secondo le regole prefissate nel dies irae, di cui in altre sedi avremmo pagato lo scotto. Bruciante e infernale. Come Spartaco, noi si progettava davanti al vinello fughe dal pensiero comune, non riuscendo però a nient'altro che ricascare sempre nei monotoni odi, di cui famosi. Una schiavitù bern diversa ossessionava la cameriera, incastrata a servirci mentre noi, come già beoti in ogni luogo e tempo, la si scannerizzava e si vedevano le di lei sinestesie e ossimori. Ad esempio, faccia deleteria abbinata a seno di altri estetismi. Ad esempio, portamento del sud italia e pretese di ricchezze da nordest. Alcuni di noi non sopportavano la proliferazione indiscriminata di chiacchiere, e io personalmente ero impegnato a zittire e farr scivolare nell'ombra parole ed azioni. A dimenticare cioè il giorno patriarcale.

Ci si ricacciava in seno alla bevuta e si disquisiva di ditopie e disnarrative e tutto ciò che altrimenti viene etichettato come "fatico" e "irrimediabile". La complicità con un infermiera della mutua mi aveva procurato molte buone dosi, che neache l'autore di "Heidi" nel suo periodo psichedelico. Il tavolo di legno è inciso coi segni del tempo. Tavolate gremite di esseri topiformi e brutali, che spandono liquami e settoriali alquanto, nel ginepraio di considerazioni. Non le meritano, non vogliono assolutamente assecondare la luciferina chiarezza della loro inefficacia. Meglio rifugiarsi nell'inesistenza di una mente patologica, se ascoltate un cretino che è sopravvissuto ai fuochi fatui delle proprie tenebre personali. Meglio dare voce ad un commento sulla presente disnarrativa, adombrarsi per nulla, vociferare incontrollati sulla visione. In risposta al sorbetto, dico un sentito grazie ad altra locandiera, voluminosa e gentile. Che non mi sputi nel caffè la prossima volta, che si ricordi della gentilezza con cui venne trattata e agisca di conseguenza, con rinnovata procacia.
Fuori dal bar, noi beoti rinnoviamo gli antichi patti con le nebbie australi, e lisciamo con candore le barbe dei numi tutelari che infrangono le convenzioni filmiche. Più non si celebrino la bellezza e la trama della vita, perchè dei più astuti dei nostri hanno proclamato che bellezza e trame non hanno senso. Meglio dunque una mente patologica, mente proteiforme e castigatrice! A te dedico questo stillicidio di sensi multivitaminici.